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Attività motoria come farmaco antidepressivo

Interessante manifesto di sintesi sull’utilità dell’attività motoria nel trattamento della depressione a cura della del British Journal of Medicine.

Quanta attività fisica è necessaria per la salute?

Tutti possono trarre beneficio dall’aumento dell’attività fisica e dalla riduzione dei comportamenti sedentari, compresi gli anziani affetti da patologie croniche o disabilità. Queste raccomandazioni sono valide per tutti, indipendentemente da sesso, razza, etnia, livello di reddito o capacità funzionali.

Ogni movimento è importante, poiché qualsiasi quantità di attività fisica è meglio di nessuna, e di solito una quantità maggiore è meglio. Si possono ottenere benefici anche da bassi livelli di attività e tutti dovrebbero essere incoraggiati a iniziare lentamente e ad aumentare l’attività fisica regolare.

Tutta l’attività fisica conta e può essere svolta in molti modi diversi che contribuiscono ai benefici per la salute e in diversi contesti. Per esempio, camminare e andare in bicicletta, le faccende domestiche di tutti i giorni, il giardinaggio, la danza, l’esercizio fisico e lo sport sono tutti considerati attività fisica.

Non è mai troppo tardi per iniziare a essere attivi e alcune attività, come gli esercizi multicomponente svolti nell’ambito dell’attività fisica settimanale, possono aiutare a prevenire le cadute negli anziani.

Un comportamento troppo sedentario può essere poco salutare e può aumentare il rischio di obesità, peggiorare la forma fisica, la salute e il comportamento cardiometabolico e influire sulla durata del sonno. Limitare e sostituire la sedentarietà con attività fisica di qualsiasi intensità offre benefici per la salute.

(Fonte: OMS 2023)

Grinta: la mentalità degli atleti vincenti

La “grinta” è un concetto relativamente nuovo che viene utilizzato per descrivere un particolare atteggiamento o mentalità che combina determinazione, perseveranza, passione e forza interiore.

Ecco alcuni elementi chiave associati alla grinta:

  1. Determinazione - La grinta è spesso caratterizzata da una ferma decisione di perseguire un obiettivo a lungo termine, senza lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà. Chi ha grinta è disposto a lavorare duramente e a superare gli ostacoli per raggiungere il successo.
  2. Passione - La grinta spesso deriva da una profonda passione per ciò che si sta cercando di realizzare. Quando una persona è appassionata di ciò che fa, è più probabile che sia disposta a fare gli sforzi necessari per avere successo.
  3. Resistenza - La grinta implica anche la capacità di resistere alle avversità e ai fallimenti. Chi ha grinta non si arrende facilmente quando le cose vanno male, ma cerca invece modi per superare gli ostacoli e continuare a progredire.
  4. Focalizzazione - La grinta spesso comporta una concentrazione intensa sugli obiettivi e la capacità di rimanere concentrati nonostante le distrazioni. Chi ha grinta è determinato a mantenere la rotta verso il successo.
  5. Motivazione intrinseca - La grinta è spesso guidata da una motivazione intrinseca, cioè dalla volontà interna di realizzare qualcosa di significativo per sé stessi, grazie al proprio impegno.

In sintesi, la grinta è un atteggiamento caratterizzato dalla determinazione, dalla passione e dalla resistenza nel perseguire gli obiettivi. È una qualità che può essere estremamente utile per superare sfide e raggiungere il successo in vari ambiti della vita, tra cui il lavoro, lo sport e la realizzazione personale.

Per saperne di più:

Frontini, R., Sigmundsson, H., Antunes, R., Silva, A. F., Lima, R., and Clemente, F. M. (2021). Passion, grit, and mindset in undergraduate sport sciences students. New Ideas Psychol. 62, 100870

Lee J. The Role of Grit in Organizational Performance During a Pandemic. Front Psychol. 2022 Jul 7;13:929517.

Recensione libro: L’arte del salto triplo

L’ARTE DEL SALTO TRIPLO 

Allenare la motivazione per vincere nello sport e nella vita  

Giorgio Merola

Erickson, 2023, pp. 310

I risultati eccezionali e le imprese compiute dai grandi atleti derivano da un miglioramento graduale nel corso degli anni. Questa frase esprime solo apparentemente un concetto semplice, tessendo l’elogio della perseveranza e della continuità dell’impegno attraverso il tempo. In realtà, serve a orientare il lettore a conoscere quali siano le ragioni che spingono un giovane a impegnarsi con intensità per tutto l’arco della giovinezza e oggi spesso anche sino alle soglie dei 40 anni. Questo è il segreto dello sport, quello che nella psicologia del buon senso si traduce nella domanda che ogni atleta ha ricevuto: “Chi te lo fa fare di fare tutta questa fatica?”.

In questo libro Giorgio prova a fornire una risposta a questa curiosità, che permette di spiegare questa scelta quasi monacale che fanno gli atleti di livello assoluto, in un mondo che va invece nella direzione opposta, dove si vorrebbe avere tutto e possibilmente subito. Giorgio Merola è la persona adatta per scrivere questa storia, non solo come psicologo dello sport, ma anche perché 16 anni fa quando gli dissi che una scuola per atleti a Bolzano cercava uno psicologo a tempo pieno lui si buttò anima e corpo in questa esperienza, che continua tutt’oggi con soddisfazione professionale. L’atleta compie le stesse scelte, è disposto a cambiare se ritiene che quello che gli viene proposto potrebbe migliorarlo. L’obiettivo è la soddisfazione e migliorare le prestazioni sacrificando ciò che si è fatto sino a quel momento, per un modo di allenarsi diverso, per un allenatore con idee più nuove, per un club che gli fornisce opportunità migliori.

E’ l’approccio del miglioramento continuativo, difficile per un atleta che è già al top della sua carriera sportiva, Quindi la grinta, la resilienza, la percezione di autoefficacia o la mentalità orientata alla crescita temi di questo libro sono centrali non solo per l’adolescente che vuole emergere nel mondo sportivo ma anche per i campioni. Infatti, se come afferma Novak Djokovic lo stress è un privilegio, bisogna però saperlo vivere con questo significato esistenziale, non è qualcosa per cui nascondersi, bisogna accettarlo sapendo che le sconfitte sono all’ordine del giorno, che  queste possono ridurre la motivazione e che i social sono un’arma contro gli atleti che si trovano in un momento di difficoltà.

Lo stesso concetto espresso da Djokovic è stato espresso da Albert Bandura quando ha detto che togliendo le sfide, vince la noia. Insegniamo, allora, agli atleti a comprendere in che mondo oggi vivono, perché non si sentano impreparati di fronte a queste nuove sfide. Insegniamogli a esser consapevoli che la dimensione tecnico-tattica e la forma fisica sono certamente aspetti decisivi del loro essere atleti, ma che la dimensione psicologica non può essere ignorata o solo capita, la si deve allenare come ogni altra abilità. Quanto scritto in questo libro sarà per loro assolutamente utile per migliorare come persone che ricercano la soddisfazione personale attraverso lo sport.

Recensione: Sole che il vento accoglie

Sole che il vento accoglie

Romanzo di Massimo Oliveri

Edizioni Vallescrivia, Novi-Ligure – p.109, giugno 2023

L’azione di correre contiene in se stessa gli elementi che costituiscono questa storia scritta da Massimo Oliveri. Il tempo è una dimensione chiave di questo romanzo che narra la storia di Pietro Bosa. E’ presente non solo nello scorrere delle singole giornate in cui è organizzato il libro ma ritorna anche negli episodi della sua vita. Correre si può fare da soli e per Pietro è una pratica epica ed eroica che gli permette di dimenticare per un po’ quello che non gli piace della sua vita. Correre è un modo per darsi il tempo di conoscersi, ma anche nella corsa come nella vita vive la contraddizione da una parte di volere accettare il proprio ritmo e dall’altra di non essere capace di concedersi questa opportunità. La corsa è, quindi, solitudine in cui come si dice Pietro ricordando le parole di Jesse Owens hai a disposizione “solo il coraggio dei tuoi polmoni”.

E’ una narrazione che si svolge con un passo veloce. I ricordi di Pietro si susseguono rapidamente come in un sogno, in cui gli episodi della sua vita lo incalzano senza tregua e con esiti in larga negativi. La fine del romanzo con la morte improvvisa di Pietro durante un allenamento è determinata da un malore fisico ma mette in evidenza ciò che Freud definiva come la caducità della vita. Infatti, a una persona apparentemente sana come un runner che si appresta a correre 21km, il destino ha deciso per quel giorno di venire a chiedere il conto di una vita insoddisfacente e alla ricerca costante di un luogo a cui appartenere senza averlo trovato se non per brevi momenti.

E’ una storia da leggere ed è di grande attualità in un periodo in cui i social ci spingono a vivere solo scampoli di presente della durata di un like. Questo romanzo ci ricorda, invece, come indipendentemente dal contesto e dai ruoli, che sia il rapporto con il padre e la madre, l’esperienza professionale con i giovani a scuola, l’amore o la corsa, il modo di vivere queste diverse situazioni evidenzia gli aspetti più profondi di una persona, rivelando una costanza del modo di presentarsi dell’essere umano quale che sia l’altro verso cui ci rivolgiamo. Ciò che mi resta dentro di questo romanzo è che non possiamo nasconderci a noi stessi e tantomeno continuare a sfidarci.

Il ruolo del movimento nello sviluppo dei giovani

L’essere umano è nato per correre, la corsa è uno sport, tutti dovrebbero essere sportivi. Questo sillogismo consente di illustrare un scoperta che ha portato una nuova luce sulla rilevanza del movimento per l’essere umano e per il suo sviluppo evolutivo.  Sono già trascorsi 20 anni da quando nel 2004 sono stati pubblicati su Nature, una delle riviste scientifiche più prestigiose, i risultati di una ricerca in cui si affermava, sulla base di reperti fossili risalenti a 2 milioni di anni fa, che la corsa di resistenza ha svolto una funzione significativa nello sviluppo della nostra specie. Nessun altro primate ha, infatti, sviluppato questa competenza; una delle prove risiede nei lunghi tendini connessi a brevi fasce muscolari che sono in grado di generare forza in modo economico, permettendo così di salvare il 50% del costo metabolico della corsa. L’ipotesi è che l’Homo abbia sviluppato la corsa resistente per cacciare gli animali e per portarsi via rapidamente le carcasse delle prede. Bramble e Liebermann, autori di questo studio, sostengono che la corsa resistente ha reso possibile una dieta ricca di grassi e proteine responsabile nell’Homo dello sviluppo di un corpo grande, un intestino piccolo, un cervello grande e denti piccoli. Oggi sappiamo che nella nostra società moderna la corsa di resistenza non è più necessaria per assicurare il cibo quotidiano a noi stessi e al nostro clan, ha cambiato funzione: per molti è  un ‘attività ricreativa e di promozione del benessere, mentre  per altri si è trasformata in un evento sportivo agonistico. Non dobbiamo comunque dimenticare che, milioni di anni fa, è stata una delle scintille che sono state alla base dell’evoluzione dell’essere umano che siamo ora.

Il movimento e la corsa non sono solo stati fondamento dello sviluppo della specie umana ma svolgono un ruolo altrettanto rilevante nello sviluppo di ogni singolo uomo durante l’arco della sua vita. Osservando i bambini si può facilmente notare che raramente camminano e molto più spesso corrono. I bambini sono degli atleti instancabili, sino da quando gattonano sono in continuo movimento, vanno e vengono da una stanza all’altra, salgono e scendono da divani e poltrone, amano buttarsi a terra e rialzarsi, gli piace andare sull’altalena perché sentire la velocità è emozionante. Da quando  si nasce sino ai primi tre anni di vita si è di fronte a una continua evoluzione verso l’autonomia fisica e psicologica, che culmina nel sapere correre e muoversi in ambienti in cui non vi sono adulti. Questa conquista del mondo avviene solo grazie alla possibilità dei giovani bambini di potersi muovere sempre più liberamente e nel sapere che quando ritornano dagli adulti, loro, sono lì presenti e continuano a volergli bene anche se si erano allontanati.

Compito dell’adulto è, quindi, di favorire questo sviluppo fornendo un sostegno emotivo al bambino ma anche insegnandogli come fare a imparare e a non farsi male. In questi momenti l’adulto agisce come un insegnante che educa il bambino ad assumersi dei rischi da lui controllabili. Può, ad esempio, insegnare a un bambino ad andare in bicicletta su due ruote già a due anni; questa attività comporta il rischio di cadere e il genitore deve ridurre al minimo questa eventualità. Questa modalità la si può applicare a qualsiasi altro tentativo di autonomia nel movimento; l’adulto che vieta e strilla per timore che il bambino si faccia male può, al contrario, inibirne lo sviluppo motorio e aiutarlo a sviluppare un senso di timore collegato a ogni sua azione autonoma. Inoltre, quei bambini che vengono lasciati soli a guardare la televisione per ore o che a quattro anni vengono ancora portati sul passeggino sono un esempio di come si possa sviluppare uno stile di vita sedentario. Inoltre, all’adulto deve essere altrettanto chiaro che ogni nuovo apprendimento richiede, da parte di entrambi, tempo e dedizione, non è sufficiente una sola spiegazione o poche prove, bisogna insistere e stare insieme al bambino sino a quando non avrà imparato.

Anche l’adulto va, pertanto, educato e non lasciato da solo, poiché spesso ha paura che il bambino cada e si faccia male e non sa che questo suo atteggiamento è in contrasto con la naturale maturazione di una funzione, come il camminare. Infatti, i bambini imparano attraverso decine e decine di tentativi e basta osservare quanta gioia esprimono quando riescono a stare in piedi da soli o muovono i primi passi, per capire che stanno componendo le prime semplici frasi di ciò che può essere definita come alfabetizzazione motoria, di cui i campioni dello sport rappresentano il punto culminante e più raffinato di evoluzione che l’essere umano possa raggiungere.

L’attività motoria non è, però, solo alla base dello sviluppo dei primi anni di vita ma consente al giovane, bambino o adolescente, di manifestare quelle specifiche abilità che lo accompagneranno durante l’arco dell’intera esistenza e che costituiranno le basi motivazionali per continuare a essere sportivi anche da adulti. Le abilità identificate sono le seguenti: trarre piacere dall’azione motoria o sportiva, muoversi pensando, sapersi assumere dei rischi calcolati e saper vivere in gruppo.

Trarre piacere dall’azione motoria o  sportiva è estremamente importante in quanto soddisfa una delle motivazioni determinanti, che consiste nell’imparare a entusiasmarsi e a spendere energia attraverso il movimento. Sviluppare uno stile di vita fisicamente attivo è d’altra parte una componente primaria della vita umana che in questi ultimi decenni, purtroppo, sta venendo meno, spingendo l’uomo verso uno stile di vita sempre più sedentario. Viceversa  l’attività motoria così come lo sport consentono di recuperare uno stile di vita fisicamente attivo e perché ciò avvenga è necessario che l’attività sia svolta nel rispetto della motivazione di ognuno e delle sue competenze e sia inserita nel curriculum scolastico.

Muoversi pensando richiede, invece, d’imparare a servirsi dei propri pensieri durante l’attività che si svolge. Insegnare ai giovani ad essere psicologicamente autonomi è l’obiettivo di ogni educatore. Questo atteggiamento va costruito sino da quando sono bambini, facendogli svolgere delle esercitazioni in cui devono prendere delle decisioni, rinforzando non solo la correttezza delle loro scelte ma soprattutto la capacità di operare delle scelte. Pertanto, non deve essere insegnato ai giovani solo ad agire in funzione dell’istruzione ricevuta, ma bisogna anche creare delle situazioni in cui si confrontino con problemi motori o sportivi che dovranno risolvere.

Al muoversi pensando ben si collega il sapersi assumere dei rischi calcolati. Significa avere fiducia nelle proprie abilità motorie ed essere convinti di sapere affrontare una determinata situazione motoria, perché lo si è già fatto in passato o perché è simile ad altre già conosciute. Nello stesso tempo implica la consapevolezza di non affrontare situazioni che si considera troppo difficili o che possono mettere a rischio la propria incolumità fisica. Il giovane attraverso l’esperienza motoria e sportiva, che dovrebbe essere stata ed essere ricca e differenziata, impara a decidere con rapidità cosa/come fare ma anche a fermarsi.

L’ultima dimensione da sviluppare riguarda la capacità di vivere in gruppo. Il sentirsi parte di un determinato contesto sociale, il gruppo scolastico, quello sportivo o il gruppo degli amici è uno dei bisogni primari di ciascun giovane e il condividere con altri coetanei le proprie esperienze motorie svolge una funzione formativa importante. Solo vivendo in gruppo s’impara a rispettarne le regole, a collaborare anche in un ambiente competitivo, a imparare ad anteporre i propri obiettivi personali a quelli della squadra/gruppo e, in termini più globali, insegna a vivere nel proprio contesto sociale svolgendo un ruolo positivo verso se stessi e gli altri.

Concludendo, alla base dell’affermazione dell’Homo Sapiens vi è stata la possibilità di sviluppare la corsa e quindi di cacciare le prede inseguendole per periodi lunghi e di spostarsi rapidamente in ambienti aridi e ostili. Ciò ha permesso la diffusione e lo sviluppo dell’essere umano così come lo conosciamo oggi. Inoltre ogni individuo ripete in parte la storia del genere umano e attraverso il processo di alfabetizzazione motoria diventa autonomo e  affronta il mondo che lo circonda.  In questo ambito gli adulti, svolgono un ruolo essenziale, promuovono questo processo d’indipendenza motoria e psicologica oppure possono se non inibirlo almeno comprometterlo.

In sintesi, non dimentichiamoci che l’uomo è nato per correre anche se purtroppo viviamo nell’era del passeggino, delle play station e dei social.

Bramble, D., e  Liebermann, (2004). Endurance running and the evolution of Homo. Nature, 432, 345-352. 

Libro di Gianni Minà, Fame di storie

Fame di storie

Gianni Minà

Roberto Nicolucci Editore

Minà nelle sue interviste non è mai stato un giudice o un pubblico ministero, perché glielo hanno insegnato i suoi maestri, Ghirelli e Barendson. Con il suo mestiere è stato solo il ponte tra una situazione, una personalità che può essere quella di un campione sportivo come può essere quella di un politico o di un altro artista e la gente e il mondo. “Il giornalismo”, ha sempre detto, “deve solo servire affinché che la gente capisca, conosca, abbia nozione, non sia narcotizzata dal solito tran tran che lo sport spettacolo e non propone per fare in modo che la gente non pensi”.

Psicologia del tennis

Ieri ho parlato di questo tema ha un Corso per psicologi che lavoreranno nel tennis.

Forse Esther: la storia di una famiglia del Novecento in Europa

“Cherr Offizehr, cominciò babuska con la sua inconfondibile pronuncia aspirata e in una lingua ibrida, ma convinta di parlare tedesco, signor ufficiale, sia così gentile, mi dica che cosa devo fare? Ho visto gli avvisi con le instruktzies per gli ebrei , ma fatico a camminare, non riesco a camminare così svelta. Le risposero con una rivoltellata: la noncuranza d’un atto di routine – senza interrompere la conversazione, senza voltarsi del tutto, così incidentalmente. Oppure non, no. Magari lei aveva chiesto: Sia gentile, Cherr Offizehr, potrebbe dirmi per cortesia come si arriva a Babij Jar? Una richiesta davvero seccante. Chi mai ha voglia di rispondere a domande così stupide?”.

(Da Forse Esther, di Katia Petrowskaja, Adelphi)

Giornata della memoria

Un libro per la giornata memoria: La piuma del Ghetto di Antonello Capurso

La storia di Leone Èfrati, ebreo, campione pugilato e partigiano

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