Pronti per le XXXIII° Olimpiadi

E’ stata accesa in Grecia, al tempio di Era risalente a 2.600 anni fa, vicino allo stadio dove nacquero le Olimpiadi nel 776 avanti Cristo. Mancano poco più di 100 giorni al 26 luglio, quando ci sarà l’inaugurazione a Parigi dei XXXIII° Giochi Olimpici.

Attualmente sono 193 gli italiani/e qualificati in 23 discipline. Le Olimpiadi costituiscono il sogno di ogni atleta e l’apice della carriera sportiva. Vincere una medaglia olimpica è come scalare l’Everest senza ossigeno. Degli atleti/e dell’élite mondiale, in Italia circa 300 tra uomini e donne,  probabilmente solo il 10% salirà sul podio. Vincere una medaglia è un evento veramente raro e per questo corrisponde all’impegno di una vita.

Pechino 2022: accesa la fiamma olimpica | EuronewsCome sappiamo non basta solo il talento personale, servono motivazione e dedizione, allenamenti di qualità, anni, molte ore/settimana, allenatori e staff eccellenti, prevenzione dagli infortuni, capacità di recupero, uno stile di vita adeguato e un ambiente extra-sportivo positivo.

Tutto questo non vaccina contro paura e ansia ma mette nella condizione di saperle affrontare con successo. A poco più di tre mesi dall’inizio delle gare allenamenti e gare continuano, molti si devono ancora qualificare, gli sport di squadra sono nel vivo delle competizioni con il campionato e le coppe internazionali, negli sport individuali si gareggia per trovare il pass per Parigi. E’ un periodo intenso e in questi giorni il pilota che c’è dentro di noi che ci guida nel lavoro quotidiano diventa sempre più importante. Il compito è alternare con efficacia i momenti in cui si spende la propria energia, allenamento e gare, con quelli in cui si recupera l’energia che si è spesa (alimentazione, sonno, relax, vita sociale). Queste due fasi si alternano ogni giorno e sono ambedue importanti per giungere pronti alla fine.

Bisogna entrare in questi due ambienti con facilità e farsi aiutare da chi ci sta vicino a mantenere questa alternanza. Si dà tutto sapendo di avere il tempo per recuperare e si recupera per potere dare tutto.

 

L’impegno

Impegno:  Disposizione individuale a fare sacrifici in altre aree della propria vita, allo scopo di avere successo nello sport.

  • Stabilisci quanto ti senti coinvolto nel raggiungimento degli obiettivi sportivi.
  • Pensa a cosa hai fatto nell’ultimo anno per migliorare nello sport e a quanto ti sei impegnato per realizzare questi tuoi obiettivi. I cambiamenti da considerare possono riguardare aspetti tecnici, fisici e psicologici. Fai una graduatoria che vada da quelli più significativi a quelli meno rilevanti, identificando per ognuno i risultati raggiunti.
  • Se ti senti poco/mediamente coinvolto in ciò che fai, chiediti come mai ti trovi in questa situazione: identifica cosa  hai fatto tu stesso per metterti in questa situazione e cosa vuoi fare di diverso per aumentare la tua motivazione.
  • Pensa a come hai reagito alle critiche del tuo allenatore o ad un errore. Il tuo impegno è continuato ad essere costante se non maggiore, oppure ti sei depresso o sei diventato più aggressivo?
  • Pensa ai momenti in cui ti sei trovato in difficoltà, cosa ti sei detto e hai fatto per mantenere alta la tua motivazione? Non scordartene poiché questi atteggiamenti sono un tuo patrimonio estremamente importante, di cui servirti nelle situazioni difficili per sostenere l’impegno e il desiderio di avere successo.
  • Talvolta l’impegno eccessivo può condurre: ad una eccessiva cura nei dettagli. Pertanto, è necessario ottimizzare il rapporto fra timing decisionale, che riguarda entro quanto una decisione va presa  e impegno personale, che si riferisce al tempo necessario per raccogliere solo le informazioni utili e non quelle che sarebbero ridondanti o poco significative.

Come auto-migliorarsi

Orientamento all’auto-miglioramento: Desiderio di essere costantemente coinvolti in un processo di continuo miglioramento, percepito come il processo principale per raggiungere gli obiettivi aziendali.

  • Individua 3 tuoi punti di forza e 3 punti da migliorare. Elenca quali sono le situazioni che esaltano i tuoi punti di forza e quelle che invece stimolano il manifestarsi dei tuoi punti deboli.
  • Pensa a come reagisci agli errori: vorresti che nessuno se ne accorgesse oppure li ritieni delle ottime opportunità di miglioramento.
  • Scrivi 5 ragioni per cui per te è importante migliorare.
  • Osserva altri atleti, guarda come si comportano, come si rapportano con l’allenatore, come gestiscono gli errori. Individua cosa puoi imparare da loro.
  • Parla con il tuo allenatore e discuti con lu/lei sul tuo sviluppo futuro come atleta.
  • Prepara una lista di obiettivi che vuoi raggiungere nel prossimo futuro. Accanto riporta quali competenze richiedono e stabilisci, con un punteggio da 1 a 5, in che misura le possiedi.
  • Analizza le situazioni più importanti che hai affrontato negli ultimi mesi e pensa in che misura avresti potuto affrontarle diversamente.

L’allenatore: se la squadra perde sei licenziato

Questo turno di Champions League e i commenti apparsi sui media hanno messo in evidenza in modo molto evidente i limiti attuali del calcio Italiano. Ci si sofferma sul gioco, sulla qualità dei giocatori, sui soldi che tutto questo costa e le analisi sono spesso impietose nei confronti della  Serie A. Il calcio è un fenomeno complesso che richiede molte diverse professionalità che s’integrano nella gestione e nello sviluppo di una squadra. Fra i tanti fattori che partecipano a determinare il valore di una squadra vorrei soffermarmi sugli allenatori. Criticarli è piuttosto facile perchè il giudizio su di loro dipende dai risultati della squadra. Come tutti sappiamo sono i primi a essere esonerati quando i risultati non corrispondono alle aspettative del club. In questa stagione sportiva, non ancora conclusa, è stato raggiunto il record di 14 cambi di panchina su 20 squadre. Solo la Liga spagnola ci segue con 13 esoneri mentre in Germania sono stati 8 e in Inghilterra 5.

Il calcio è uno sport ad alto rischio dove non si accettano le sconfitte e quindi rappresenta un alto livello di stress per gli allenatori, che se da un lato nelle squadre professionistiche sono ben remunerati dall’altra non è facile vivere questa condizione d’incertezza anche se scelta da loro. Si può dire che gli allenatori subentrati si trovano a dovere affrontare una situazione di pronto soccorso, devono guarire il malato, la squadra, in tempi rapidi e a qualsiasi costo. Sono pochi quegli allenatori che possono permettersi di aspettare la chiamata per loro giusta e prendersi il tempo che desiderano per attendere la squadra che soddisfi le loro esigenze, la maggior parte invece deve essere pronta a buttarsi nella mischia e lavorare senza sosta per trovare rapidamente una soluzione e naturalmente mostrarsi soddisfatti della chance che gli viene offerta. Tutto questo viene ben pagato ma a mia conoscenza non ho visto finora su questo tipo di condizione umana e tantomeno analisi approfondite sul tema da parte della loro organizzazione e dei singoli club.

Mi sembra che si sia perso il valore del lato umano del calcio a spese di una concezione unidimensionale del calcio secondo cui o vinci o non sei nulla.

Autismo, solitudine, appartenenza e scuola

Ieri si è celebrata la giornata mondiale dell’autismo, un disturbo che colpisce molti bambini e futuri adulti che ancora costituisce un fattore di scarsa integrazione e inclusione nell’ambiente sociale, senza dimenticare che l’inserimento nel mondo del lavoro è ancora marginale. Nel complesso le notizie negative sono tuttora molte, e le famiglie vivono quotidianemte la responsabilità dello sviluppo dei loro figli con aiuti limitati da parte del sistema sanitario nazionale e della scuola. Di positivo vi è la rete di associazioni spesso fondate da genitori con figli con autismo che rispondono ad alcune fra le loro molte esigenze che variano dai percorsi terapeutici ai programmi sportivi e di altro genere.

Nel nostro piccolo, anche noi come Accademia di Calcio Integrato partecipiamo nel fornire risorse a questi giovani e alle loro famiglie. Il nostro scopo, attraverso l’insegnamento del calcio, è di ridurre la solitudine attraverso la costruzione di una community fra genitori e sport, e favorire lo sviluppo di un senso di appartenenza attraverso il calcio: Ciò avviene in diversi modi, fra cui il progetto “Compagni di classe” che consiste nell’invitare alcuni compagni di classe a giocare a calcio insieme in determinate giornate dell’anno scolastico. Sono giornate di sport e di festa a cui partecipano anche gli insegnanti e durante questa attività i giovani con autismo si presentano agli altri in un modo diverso, più capace e per loro più soddisfacente rispetto a quello mostrato nella vita scolastica.

Siamo consapevoli che queste esperienze dovrebbero essere più frequenti ma in ogni caso evidenziano qualità e apprendimenti dei giovani con autismo che insegnanti e compagni di classe non vedono durante l’orario a scuola.

Sono attività che opportunamente organizzate potrebbero essere svolte anche nelle scuole laddove invece sono abitualmente assenti. Queste esperienze stanno a indicare le possibili strade che potrebbero essere percorse per realizzare nei fatti l’inclusione a scuola. In relazione allo sport, le società sportive come la nostra, mostrano come ciò potrebbe avvenire. La Scuola nel suo complesso non è pronta a cambiare per rendere quotidiane esperienze come questa di “Compagni di classe” e quindi l’inclusione continua a restare vincolata alla buona volontà di insegnanti e dirigenti scolastici.

 

Le regole per educare i figli all’autonomia

Sulla base dei problemi che i giovani mostrano diventa necessario offrire modi pratici ai genitori per educare i loro figli. In ogni caso, l’obiettivo principale che dovranno soddisfare i genitori riguarda la necessità di non abbandonare il loro compito educativo. Troppo spesso si vedono genitori che abdicano a questo ruolo nella speranza che la soddisfazione di ogni desiderio sia il modo migliore per crescerli.

Ci si nasconde dietro l’idea che dare tutto a loro sia il modo per farsi ascoltare e per favorire la fiducia. In questo modo, i giovani crescono convinti che nella vita basterà chiedere per avere e che ci sarà sempre qualcuno che risolverà per loro i problemi che incontreranno.  In tal modo si blocca lo sviluppo dell’autonomia, che può avvenire solo quando viene data l’opportunità di prendere decisioni e di verificarne gli effetti.

A questo riguardo, Jonathan Haidt fornisce alcune consigli che condivido pienamente:

  1. Dare ai bambini molto più tempo per giocare con altri bambini. Questo gioco dovrebbe idealmente svolgersi all’aperto, in gruppi misti di età, con poca o nessuna supervisione degli adulti (che è il modo in cui la maggior parte dei genitori è cresciuta, almeno fino agli anni ’80).
  2. Cercare più modi per inserire i bambini in comunità reali e stabili. Le reti online non sono affatto vincolanti o soddisfacenti.
  3. Non dare uno smartphone come primo telefono. Dare un telefono o un orologio specializzato per la comunicazione, non per le app basate su Internet.
  4. Non dare uno smartphone fino alle scuole superiori. È facile farlo se molti dei genitori dei compagni di tuo figlio fanno lo stesso.
  5. Ritardare l’apertura di account su quasi tutte le piattaforme di social media fino all’inizio delle scuole superiori (almeno). Questo diventerà più facile se potremo sostenere i legislatori che stanno cercando di aumentare l’età di quando si diventa “adulti per Internet” dagli attuali 13 anni (senza verifica) a 16 anni (con verifica obbligatoria dell’età).

La generazione ansiosa

A partire dal 2010 i disturbi mentali dei giovani sono aumentati in modo incredibile. Ansia e depressione riguardano attualmente più del 20% degli adolescenti. Jonathan Haidt ha trattato questo tema nel suo libro in uscita proprio in questi giorni, e che presenta in questo modo:

“Nell’estate del 2022, stavo lavorando a un progetto di libro – La vita dopo Babele: Adattarsi a un mondo che non possiamo più condividere – riguardante come gli smartphone e i social media hanno riconfigurato molte società negli anni 2010, creando condizioni che amplificano le note debolezze della democrazia.

Il primo capitolo trattava dell’impatto dei social media sui ragazzi, che erano i “canarini nella miniera”, rivelando segnali precoci che qualcosa non andava per il verso giusto. Quando le vite sociali degli adolescenti si sono spostate su smartphone e piattaforme di social media, ansia e depressione sono aumentate tra di loro. Il resto del libro sarebbe stato incentrato su ciò che i social media avevano fatto alle democrazie liberali.

Mi sono reso rapidamente conto che il rapido declino della salute mentale degli adolescenti non poteva essere spiegato in un solo capitolo – aveva bisogno di un libro tutto suo. Quindi, “La Generazione Ansiosa” è il Volume 1, in un certo senso, del più ampio progetto Babele.

Inizio “La Generazione Ansiosa” esaminando le tendenze della salute mentale degli adolescenti. Cosa è successo ai giovani nei primi anni 2010 che ha scatenato l’impennata di ansia e depressione intorno al 2012?”.

Percent of U.S. undergraduates with different mental illness, 2008-2019

Cosa è successo ai giovani nei primi anni del 2010?

La Generazione Ansiosa offre una spiegazione raccontando due storie. La prima riguarda il declino dell’infanzia basata sul gioco, che è iniziato negli anni ’80 e si è accelerato negli anni ’90. Tutti i mammiferi hanno bisogno di gioco libero, e tanto, per cablare i loro cervelli durante l’infanzia e prepararli per l’età adulta. Ma molti genitori nei paesi anglofoni hanno iniziato a ridurre l’accesso dei bambini al gioco libero non supervisionato all’aperto a causa delle paure alimentate dai media per la loro sicurezza, anche se il “mondo reale” stava diventando sempre più sicuro negli anni ’90.

La perdita del gioco libero e l’aumento della supervisione continua degli adulti hanno privato i bambini di ciò di cui avevano più bisogno per superare le normali paure e ansie dell’infanzia: la possibilità di esplorare, testare ed espandere i loro limiti, costruire amicizie strette attraverso avventure condivise e imparare a valutare i rischi da soli.

La seconda storia riguarda l’ascesa dell’infanzia basata sul telefono, che è iniziata alla fine degli anni 2000 e si è accelerata nei primi anni del 2010. Questo è stato precisamente il periodo durante il quale gli adolescenti hanno scambiato i loro telefoni a conchiglia con gli smartphone, che erano carichi di piattaforme di social media supportate dalla nuova connessione internet ad alta velocità e piani dati illimitati.

La convergenza di queste due storie negli anni tra il 2010 e il 2015 è ciò che io chiamo la “Grande Riconfigurazione dell’Infanzia”. In pochi di noi capivano cosa stava accadendo nei mondi virtuali dei bambini e ci mancava la conoscenza per proteggerli dalle aziende tecnologiche che avevano progettato i loro prodotti per essere dipendenti.

Per questo motivo, abbiamo finito per proteggere eccessivamente i bambini nel mondo reale mentre li abbiamo sotto-proteggiti nel mondo virtuale.

Daniel Kanheman è morto all’età di 90 anni

Daniel Kahneman è stato uno psicologo che ha aperto la strada alle teorie del comportamento economico, ha vinto il premio nobel per l’economia nel 2002, insieme a Vernon Smith «per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza». E’ morto all’età di 90 anni.

Ha dimostrato che le violazioni della razionalità economica non sono episodiche ma sistematiche. Al riguardo ha affermato che:

“la classica teoria delle scelte fissa una serie di condizioni di razionalità che sono forse necessarie ma difficilmente sufficienti: esse, infatti, consentono di definire come razionali molte scelte palesemente sciocche” (Kahneman 1994, p. 23). “Nessuno ha mai creduto seriamente che tutti gli esseri umani abbiano sempre credenze razionali e prendano invariabilmente decisioni razionali. Il principio di razionalità viene generalmente inteso come un’approssimazione, fondata sulla convinzione (o speranza) che gli scostamenti dalla razionalità si facciano rari quando la posta è alta o tendano a scomparire del tutto sotto i colpi della disciplina del mercato” (Kahneman 2003, p. 87). 

Per i campioni è molto difficile accettare di ritirarsi

Per provare a dare una spiegazione del motivo per cui molti campioni non si ritirano giunti a un’età in cui questa sembrerebbe essere la decisione migliore, e qui il pensiero va al 37enne Novak Djokovic, un articolo apparso su The Guardian cita la storia di Archie Moore (1916-1998), campione del mondo dei mediomassimi e uno dei più longevi pugili, felicemente sposato e padre di due figlie. Quando aveva 47 anni e ancora campione del mondo disse:

“Sono ancora la vecchia mangusta che cerca di superare i ragazzi più giovani… Sono come l’ubriaco al bar che ne vuole ancora un altro per la strada. Voglio un altro ko da aggiungere al mio record e poi un altro ancora. Alcuni dicono che è fantastico quando un uomo si ritira imbattuto. Ma un campione dovrebbe combattere fino alla fine e uscire con le mani alzate proprio come è entrato. È la giusta uscita di scena e credo che possa essere la mia”.

Combatti per altri tre anni e si ritirò a 50 anni con 186 vittorie.

Djokovic è consapevole di quando gli sta accadendo e sta provando la carta del cambio allenatore, forse per trovare nuovi stimoli, ciò che toglie che il suo pensiero, oggi, è piuttosto chiaro e la sua decisone dipenderà da quanto saprà accettare questo inevitabile declino e la tristezza che comporta:

“Sappiamo tutti che quei momenti arriveranno per tutti noi”, ha detto. “Ma quando arrivano davvero, e quando capisci che è finita, che Roger ha finito la sua carriera, che Rafa e io probabilmente non giocheremo più molto, è come se un’era finisse ed è triste”.

 

 

L’importanza del timing nello sport

Spesso si sbaglia perchè si fa la cosa giusta nel momento sbagliato. Significa possedere la tecnica di esecuzione ma nello stesso tempo evidenzia l’inabilità a scegliere il tempo dell’esecuzione. Le abilità chiuse (rigore, tiro libero, servizio) si basano sul possedere il giusto timing. Per alcuni sport come se non lo si possiede non si ottiene mai un risultato dignitoso. Talvolta si dice “non ne fa mai una giusta” quando deve aspettare va e viceversa, quando deve tirare passa, quando tenere un determinato ritmo o rallenta o accelera.

Il tiro a volo propone almeno tre tipi diversi di timing: cosa fare nell’attesa tra un tiro e l’altro, il timing della preparazione del tiro e infine il tempo di sparo. Quanti sono coloro che si allenano tenendo consapevolezza di queste tre fasi? Quando commettono un errore a quale di questi tre fattori attribuiscono la causa.

Chi fa sport che richiedono questo tipo di approccio mentale dovrebbe riflettere su questi temi.